Spiare le chat del partner è reato

Spiare le chat del partner è reato

Spiare le chat del partner è reato

A volte può venire in mente di spiare le chat o il telefono del partner per trovare prove di un eventuale adulterio da usare poi in fase di separazione. Attenzione a farlo, si rischia di essere puniti ai sensi dell’articolo 615-ter del codice penale.

L’articolo in questione chiarisce il fatto “che chiunque si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito fino a tre anni”.

Inoltre chi decide di spiare le chat del partner rischia di essere condannato anche del reato di cui all’art. 616 del codice penale che stabilisce “chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro”.

Spiare un cellulare o una qualsiasi altra tipologia di comunicazione – non solo aprire la chat o i messaggi direttamente dal cellulare o pc del partner – ma anche l’ accesso al profilo Facebook altrui, su Whatsapp, Telegram ed ogni altro programma di messaggistica configurano violazione della privacy, accesso abusivo a sistema informatico e, in alcuni casi, il reato di rapina se la sottrazione del cellulare o di altro dispositivo informatico avviene dietro minaccia o violenza. A tal proposito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2429 del 10 giugno 2016, confermava la condanna a 1 anno e 8 mesi di reclusione ad un uomo che aveva spiato le conversazioni della moglie dopo avergli sottratto con violenza il cellulare.

Indipendentemente che il cellulare sia stato sottratto con forza o che sia stato preso in un momento in cui è stato abbandonato, spiare il partner si commette sempre il reato di interferenze illecite nella vita privata altrui ( art 615 bis del Codice Penale) che può portare ad una condanna che varia da 6 mesi a 4 anni.

Spiare la chat in un cellulare aperto è reato?

Può rischiare grosso il partner che spia le chat del compagno o compagna anche se il profilo in quel momento è aperto se poi, le conversazioni vengono prodotte in giudizio per la separazione. Chi spia un cellulare altrui commette sempre un reato anche se questo non è protetto. Su questo argomento si è espressa la Corte di Cassazione V Sezione penale con la sentenza n. 34141/2019.

La vicenda:

Il giudici si sono pronunciati sulla vicenda di un uomo accusato di accesso abusivo al profilo Skype della moglie e violazione della corrispondenza. La motivazione che il profilo fosse già aperto sul computer presente nella casa, non è stata ritenuta dai giudici sufficiente a far decadere il reato. La sentenza della Corte di Cassazione V Sezione penale n.34141/19 ha ribaltato completamente la sentenza sia del Tribunale di Milano che della Corte di Appello di Milano, che aveva assolto l’uomo riconoscendolo innocente.

In Cassazione, il caso viene interpretato in modo differente, ove i giudici hanno accolto la posizione della ex moglie. Difatti, la donna, tra i motivi di ricorso, indicava l’erronea applicazione dell’art. 615-ter c.p., trattandosi di norma che punisce non solamente l’accesso abusivo a un sistema informatico, ma anche il mantenimento nello stesso contro la volontà del titolare.

Art. 615 ter c.p 1 comma sancisce cheChiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.

I giudici della Corte di Cassazione accogliendo le posizioni dei difensori della donna criticano l’operato della Corte territoriale, sul fatto che, indipendentemente dall’aver trovato già “aperta” la chat, in computer posizionato su luogo comune, i giudici di merito non si siano soffermati sulla condotta di illecito mantenimento nel sistema informatico che può perfezionarsi anche nell’ipotesi in cui l’introduzione nello stesso non sia avvenuta in modo voluto, ma del tutto casuale.

Quindi i giudici di merito avrebbero mancato di ravvisare, nella condotta dell’imputato, l’illecito mantenimento nel sistema informatico.

Di qui una evidente carenza di motivazione della sentenza impugnata.

Altro motivo secondo i giudici della Suprema Corte, il fatto che la persona offesa avesse registrato la password per non doverla riscrivere in occasione di ogni accesso, non esclude certamente che il sistema informatico in questione non fosse sufficientemente munito di misure di sicurezza a protezione di intrusi; né tanto meno si rileva la circostanza che le password di accesso al computer protetto della donna siano state comunicate all’autore del reato, in epoca antecedente rispetto all’accesso abusivo, dallo stesso titolare delle credenziali, se la condotta incriminata ha portato a un risultato in contrasto con la volontà della persona offesa…

Per ultimo i giudici della Suprema Corte di Cassazione si esprimono sulla presenza di una giusta causa, ritenuta sussistente dai giudici della Corte territoriale. I giudici di merito affermano che l’imputato non aveva deciso di divulgare le conversazioni e le foto intime e compromettenti della moglie ma si sarebbe limitato a diffondere tale materiale in sede di separazione, con la finalità di ottenere l’addebito della controparte.

Il riferimento alla giusta causa, è espressa dai giudici di merito facendo riferimento all’ art. 616 c.p. che stabisce “Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro. Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni”.

Orbene, per i giudici della Suprema Corte tale nozione è stata delineata dai giudici di merito in termini astratti, in riferimento al solo scopo perseguito quale “divulgare le conversazioni e le foto intime e compromettenti della moglie” (l’uso) nel giudizio civile di separazione tra coniugi.

Mancando, invece, conclude la Suprema Corte, ogni valutazione sul mezzo usato per portare a conoscenza la corrispondenza telematica.

Per cui secondo la Corte di Cassazione V sez. pen. con sentenza 34141/19 ribadisce che “chi spia il cellulare altrui commette sempre reato, anche se questo “non è protetto”. Non conta eventualmente che la password del profilo sia già registrata per evitare di inserirla a ogni accesso: l’accesso abusivo si configura anche quando chi entra nel sistema conosce le credenziali, perché gliele ha comunicate il titolare, ma poi ne fa un uso che va oltre l’autorizzazione ricevuta”.

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